I Romani, oltre che per le capacità militari, fuorono conosciuti per la capacità di dotare di strade le zone conquistate e da conquistare. Roma era quindi raggiungibile da veri e propri assi viari, strutturati in pietra, che permettevano di muoversi rapidamente. Uno di questi, votato a superare le Alpi è la Via delle Gallie. All’epoca la Dora Baltea usciva spesso dal suo alveo, in maniera rovinosa e, per evitare interruzioni si predililigeva rimanere a mezza costa, in genere sulla sinistra orografica. Ad ovest del Borgo, a pochi metri dalla cappella di Sant’Orso, dove la strada inevitabilmente costeggiava il corso della Dora, sorge l’arco romano, scavato e tagliato nella roccia e che fa corpo con la montagna come un contrafforte naturale; la via risulta intagliata per 221 metri nella roccia, con un grande arco che testimonia il lavoro ciclopico svolto: il taglio, narrato nella leggenda del fabbro di Donnas, in certi punti supera i dodici metri e sono individuabili nella roccia le tracce dei livelli raggiunti da squadre di scalpellini. L’arco, realizzato fra il 31 e il 25 a.C., misura, in spessore e in altezza, circa quattro metri ed ha una luce di tre metri. Nella parete che fiancheggia la strada è ricavata anche la colonna miliare che porta scolpito il numero romano XXXVI, indicante le miglia che si contavano a partire da Aosta (Augusta Praetoria). Si possono anche notare alcuni scalini che in passato servivano per scendere sulla riva del fiume dove era posto un attracco per le barche.